Fontana-Gam

Pierre-Auguste Renoir, Roy Lichtenstein, Amedeo Modigliani, Felice Casorati e prossimamente Claude Monet: sono così tanti e così celebri gli artisti che la GAM ha ospitato negli ultimi anni nelle sue sale che ormai il visitatore torinese (e non) ha quasi dimenticato che cosa contenga la sua collezione permanente, preferendo bypassarla per concentrarsi sulle opere delle esposizioni temporanee. Se però, una volta raggiunto il primo piano, il curioso di turno imbocca l’e

ntrata “sbagliata”, ecco dischiudersi davanti ai suoi occhi una raccolta straordinaria di opere realizzate dall’Ottocento a oggi. Scoprirà così che molti di quegli acclamati artisti sono in realtà una presenza fissa nelle sale museali, circondati da Burri, Fontana, Fontanesi, Pistoletto e Boetti – solo per citare alcuni dei nomi più noti – in un allestimento che svela solo una minima parte delle oltre 45 mila opere di proprietà della GAM. La ricchezza di questo museo è facilmente comprensibile se si considera che il nucleo primitivo della collezione ha iniziato a costituirsi oltre 150 anni fa quando,

nel 1863 venne fondato il Museo Civico in cui, oltre alla raccolta di Arte Antica (oggi a Palazzo Madama) una parte costituiva era rappresentata proprio da opere contemporanee. Prima città italiana a promuovere una raccolta pubblica di arte moderna, Torino ne percepì immediatamente l’importanza, avviando una serie di acquisizione e dedicandole nel 1895 una sede autonoma, su Corso Galileo Ferraris.

A partire dagli anni ’90, con la ristrutturazione dell’edificio e l’ampliamento della superficie espositiva, i curatori del museo si sono trovati a affrontare lo spinoso problema di come presentare al meglio una così ricca e diversificata raccolta, giungendo negli ultimi anni alla decisione di realizzare quattro diversi percorsi tematici – Infinito, Velocità, Etica e Natura ­- che, come una sorta di fil rouge, collegassero tra loro i capolavori della GAM, quelli imprescindibili, quelli che non potevano proprio essere relegati nei magazzini, i “mai più senza”, come li chiamiamo noi di Brigata Cultura.

Ma torniamo al nostro visitatore curioso che, anziché indugiare sulla ordinata e cronologicamente lineare mostra temporanea, si trova catapultato in stanze dove si passa dal figurativismo all’astrattismo, dalla scapigliatura alla pop art, dall’impressionismo all’arte povera, dal simbolismo al futurismo, in un turbinio di tecniche, materiali, formati e supporti diversi con decine di opere che, però, a ben guardare sono accomunate da un unico intento: quello di rappresentare al meglio il proprio tempo, di essere portatrici di innovazione, rivoluzionarie, di volersi distinguersi da tutto ciò che era stato fatto fin ad allora, pur restandone inevitabilmente collegate. Per poter capire la ricchezza della GAM il nostro visitatore non deve far altro che farsi coraggio, prendere un bel respiro e affrontare le creazioni una per una, abbandonandosi all’opera stessa, lasciando che essa dischiuda i suoi più profondi segreti. Scoprirà co

sì, ad esempio, che Attese di Lucio Fontana (meglio conosciute come Tagli) non solo semplici fenditure sulla tela, ma costituiscono un nuovo e geniale modo di riprodurre le ombre: quelle stesse ombre che Cimabue dipingeva in maniera innovativa sul corpo del Crocifisso di Santa Croce, che Caravaggio aveva deciso di “ingagliardire” e che gli impressionisti avevano voluto colorare. Fontana si spinge più in là, le vuole concrete e reali, ottenute non con giochi di colore ma generate autenticamente da uno spazio tridimensionale, che si piega su se stesso, creando un solco, un portale buio che rompe la convenzione illusoria del “quadro-finestra”, rendendo la tela protagonista, un oggetto vivo, reale e concreto, che collega il visitatore al misterioso spazio infinito celato dietro la tela stessa, facendogli “sbirciare” attraverso il taglio, in uno stato mentale di contemplazione, di attesa appunto. Pittura, scultura e performance si fondono in un unico gesto che, una volta compreso, si rivela non meno interessante della precisione di un miniatore medioevale, della plasticità di Canova o della pennellata tormentata di Van Gogh. Ed ecco che allora il palazzo di via Magenta si rivela non solo un contenitore da visitare in occasione delle accattivanti mostre temporanee, ma una realtà tutta da scoprire, ricca di capolavori, punti fermi della ricerca artistica degli ultimi 200 anni, che tutti noi dovremmo ammirare almeno una volta!

Sara Vescovo

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