Tamara-de-LempickaSullo sfondo delle due guerre, in un universo parallelo e scintillante, fatto di ricevimenti colossali, vita notturna sregolata, mise sfarzose, si muove una donna bellissima e affascinante, poliedrica e appassionata, tormentata e smaniosa. Nel suo sangue scorre l’orgoglio del popolo polacco, di un paese cancellato per oltre un secolo dalle cartine geografiche; nei suoi occhi si riflettono le immagini dell’assalto al Palazzo d’Inverno, di un mondo antico e immobile spazzato via dalla Rivoluzione; dai suoi atteggiamenti traspaiono i lussi e le sfrenatezze della vita mondana della Parigi della Belle Époque, le luci dei locali, i lustrini di guanti e cappellini, i flash dei reporter di moda; dal suo pennello scaturiscono opere che mescolano tutta questa vita vissuta agli apporti stilistici delle avanguardie russe, del cubofuturismo, della pittura fiamminga del Seicento. Sembra un copione cinematografico, ma è la storia di Tamara Rosalia Gurwik-Gorska, Tamara de Lempicka, la Baronessa Tamara Kuffner de Dioszegh: è una titanica e popolare donna artista ed un «essere infelice, tormentato, senza patria, senza casa». È una madre ed una sposa, ma al contempo è l’amante di uomini e donne dai costumi singolari e libertini, una “garçonne” che afferma il proprio diritto ad una vita sentimentale senza imposizioni.  È una nobildonna europea e una diva holliwoodiana, una trend-setter e una socialite vissuta nel XX secolo, mangiandoselo con la propria personalità e con la propria arte.

Approdata a Torino a Palazzo Chiablese – parte del rinnovato Polo Reale di Torino – il 19 marzo 2015, promette di portare scompiglio  in un’epoca in cui si pretende di essere ormai immuni a scandali di ogni sorta, fino al 30 agosto.

Gli ingredienti per fare di questa un’occasione tale da incuriosire ed appassionare anche gli scettici, ci sono davvero tutti: matrimoni e tradimenti, intellettuali da salotto e prostitute di café chantant, esuli perseguitati dalle guerre e nobili annoiati, donne fatali, cocainomani insonni, case modernissime, riviste di moda, fotografi leggendari, feste degne del Grande Gatsby e addirittura un incontro – turbolento e passionale – con Gabriele D’Annunzio… Ma nessun dettaglio della lunga e straordinaria vita di Tamara sa eguagliare il valore delle sue opere, monumentali, algide, levigate, vere e proprie icone novecentesche, capaci di armonizzare la lezione del cubismo e quella naturalista, il gusto déco e quello manierista.

Tamara-de-LempickaLa mostra, curata da Gioia Mori, maggiore studiosa italiana dell’artista, si accosta alle 80 opere selezionate in punta di piedi, tentando di scorgere Tamara e i suoi mondi come dal buco della serratura, per esaltarne il lato più intimo e immediato: lo testimonia in primis la sezione di apertura, che propone una serie di scatti delle abitazioni dell’artista, così come l’apertura sulla produzione sacra, a torto spesso trascurata, dove invece è presente uno dei dipinti più amati e sentiti dalla de Lempicka, La madre superiora. Non mancano però le nature morte, i ritratti, i possenti nudi femminili e le opere più celebri: su tutte, la Ragazza in verde del 1930-31, straordinario prestito dal Centre Georges Pompidou.

Il percorso che si dipana per le sale – che ha già registrato un numero notevole di visitatori in queste prime settimane di apertura – permette di accostarsi al lavoro dell’artista oltrepassando i luoghi comuni e i miti (spesso alimentati dalla stessa Tamara, che amava arricchire i propri racconti di dettagli teatrali), ma senza rinunciare alla spettacolarizzazione dell’opera di un’artista che ha avuto un solo problema, «debordante e al contempo meraviglioso: una vita priva di normalità».

 Giulia Venuti