Era il maggio di tre anni fa, ricordo molto bene. Un periodo particolarmente fervido per la città di Torino, che vede rinnovarsi, come ogni anno da trent’anni, l’appuntamento con il Salone Internazionale del Libro. Avevo preso un treno nel tardo pomeriggio da Firenze, la città in cui vivevo in quel periodo della mia vita, per riuscire ad arrivare a Torino per l’ora di cena. È l’orario e il periodo perfetto per raggiungerla: a primavera inoltrata la luce rosea della prima sera accende di riflessi le cime che circondano la città, quasi come fossero quinte teatrali.
Una volta giunta a destinazione, mi avventuro tra la folla che anima l’enorme stazione di Porta Nuova, cercando di avvistare l’uscita più vicina per raggiungere il mio compagno che mi sta aspettando con impazienza. Finalmente fuori, all’aria aperta. Incredibilmente maestosa e signorile, ecco la mia prima impressione di Torino. Gli eleganti palazzi, ordinatamente affacciati sui viali alberati che scandiscono la rete urbana, la trasformano in un’enorme scacchiera. Stranamente stasera non c’è il consueto traffico, ne approfittiamo quindi per raggiungere il centro a piedi, godendoci l’aria tiepida del tramonto. Prima destinazione: il quadrilatero. Abbiamo deciso di trascorrere la prima serata torinese in uno dei quartieri più antichi della città, in cui ancora oggi si possono scorgere inaspettatamente i resti di mura e abitazioni di epoca romana. Oltre alla ricchezza storico-artistica e archeologica, questa zona è considerata il “cuore” di Torino, in cui si concentra una tale quantità di locali, ristoranti, osterie, enoteche, gastronomie e botteghe tipiche come in pochi altri centri urbani europei. La scelta è veramente variegata e abbondantissima, ho l’impressione che in una vita non si arriverebbe a provarli tutti! Dopo una tipica cenetta deliziosa, rigorosamente a base di vitello tonnato, agnolotti di carne, battuta di fassone e bonèt, accompagnati da una bottiglia di Nebbiolo, ci godiamo una lunga passeggiata, senza una meta precisa, solo per il gusto di flâner per strade e viuzze pullulanti di giovani.
La mattina seguente comincia con una meravigliosa colazione in uno storico caffè torinese, assaporando il celebre bicerin, prelibata bevanda calda a base di caffè, cioccolata e crema di latte, insieme a paste di meliga, baci di dama e torcetti, tipici della tradizione pasticcera piemontese. Posso confermare, per chi ama i dolciumi e in particolare il cioccolato, che Torino è da considerarsi imbattibile su questo fronte!
La mattinata prosegue percorrendo la centralissima e affollata via Garibaldi, che in origine costituiva l’antico decumano della città romana Augusta Taurinorum, alla volta di Piazza Castello. Non appena si mette piede in questa piazza si percepisce una sensazione di spaziosità e vastità: i palazzi, ordinatamente disposti lungo il perimetro, appaiono in tutta la loro raffinatezza e il loro splendore. Non poteva mancare la visita ai Musei Reali, scegliendo di avventurarsi tra le preziosissime e sfarzose sale di Palazzo Reale, di ammirare la ricca collezione delle opere appartenenti alla Galleria sabauda (di artisti non solo piemontesi e italiani) e infine di attraversare i Giardini reali, il cui impianto originario risale al Cinquecento, più precisamente all’epoca di Emanuele Filiberto di Savoia. Ci concediamo anche un momento di pausa, comodamente seduti sulle sedie e le sdraio messe a disposizione dei visitatori, molto apprezzate durante la stagione primaverile. Dopo un breve ma goloso pranzo in un piccolo bistrò, non lontano da piazza San Carlo, ci dirigiamo sotto i larghi portici di via Po, vivacizzati dai tanti studenti e dalla presenza di bouquinistes dal sapore parigino e un po’ rétro.
Come d’incanto, alla fine della via, si apre la maestosa Piazza Vittorio, affacciata sul Po, da cui si può scorgere la Chiesa della Gran Madre, che si erge simmetricamente sulla riva opposta. Dopo le inevitabili cento fotografie per immortalare la grandezza del primo fiume italiano in cui si specchiano le colline torinesi, si devia alla volta del Parco del Valentino. Qui, tra le famiglie in gita domenicale e gli indefessi amanti del jogging, stendiamo il nostro telo a quadrettoni sotto uno dei platani secolari e ci rilassiamo all’ombra delle fronde rigogliose, in compagnia di un buon libro acquistato durante una delle nostre immancabili tappe in una storica libreria della città. Dopo qualche ora, mentre scende il crepuscolo, ci accingiamo a tornare in centro. Costeggiamo i Murazzi, avvolti nella penombra e pervasi da un’atmosfera malinconica, quasi sospesa, in bilico tra un vivace passato e un presente in cerca di identità.
Domani dovremo salutare questa città che ci ha incantati con il suo fascino discreto, ma in fondo ce ne andremo con la certezza di tornare presto a riscoprirla e, chissà, magari di restarci molto più a lungo…
Silvia Chiodera