Pinacoteca-Albertina

Oggi sono stata in visita alla Pinacoteca Albertina di Torino perché, come spesso capita, propone anche in questo periodo un’interessante mostra che vale assolutamente la pena vedere.

Come sempre succede quando mi preparo per condurre la visita a una nuova mostra, dopo averne letto e sottolineato con ogni possibile matita colorata del portapenne il catalogo, mi piace vedere le opere “in carne e ossa”, percepirne finalmente le reali dimensioni, vedere l’effetto che producono le une accanto alle altre, girovagare nelle sale del museo liberamente per cogliere spunti inaspettati. E oggi l’esperienza è stata più interessante del previsto.

La Pinacoteca Albertina non se ne sta isolata e superba, come capita talvolta per alcuni musei, ma condivide uno storico edificio con la sede della celebre Accademia di Belle Arti, dove le aule di lezione si trovano fianco a fianco alle sale del museo.

La Pinacoteca è stata istituita negli anni trenta dell’Ottocento proprio con l’obiettivo di offrire un valido sussidio didattico agli studenti dell’Accademia, in un’epoca in cui ancora non dilagavano ovunque immagini di ogni sorta  e non tutti gli studenti potevano permettersi viaggi costosi per visitare i musei o i luoghi d’arte più importanti. Si ovviò così a questo problema permettendo a tutti la visione ravvicinata di una raccolta di opere di maestri illustri, da cui trarre insegnamento e ispirazione. La collezione della Pinacoteca nacque e si accrebbe nel tempo grazie alla generosità di alcuni donatori, primi fra tutti, Carlo Alberto di Savoia  e Monsignor Mossi di Morano, poi ancora artisti e insegnanti legati alla storia dell’Accademia.

In queste sale, da quadri due secoli, gli studenti si aggirano muniti di fogli e carboncino per copiare i visi dolci delle Madonne cinquecentesche, la vigorosa anatomia dei personaggi caravaggeschi, i paesaggi precisi dei vedutisti dell’Ottocento. Davvero un “sussidiario” notevole.

La Pinacoteca è un luogo speciale, che coniuga perfettamente l’anima museale di conservazione e valorizzazione delle proprio preziose raccolte, con quella più propriamente didattica. Lo si può sperimentare facilmente capitandoci un qualsiasi giorno della settimana: nelle sue sale colorate, troverete contemporaneamente il visitatore appassionato, il turista per caso e lo studente alle prime armi; ognuno vi cerca cose differenti, ma tutti rimangono inevitabilmente colpiti e affascinati dallo splendore vibrante della pittura a olio di Giovanni Martino Spanzotti o dalla magia misteriosa della sala dei Cartoni gaudenziani.

Solitamente dopo aver visitato un museo, viene spontaneo ripensare tra sé e sé quale opera maggiormente ci ha colpito, quella “che ci porteremmo a casa”, come spesso mi dicono i visitatori quando li accompagno in mostra… Ma questa volta a rimanermi impressa non è stata un’opera vera e propria, pur essendocene molte degne di strabuzzamento ammirato degli occhi. Questa volta a colpirmi è stato il gruppetto di studenti asiatici che chiacchieravano allegramente in un’idioma a me incomprensibile di fronte a un dipinto del nostro caro buon vecchio Defendente Ferrari. Giovani studenti stranieri dell’Accademia, provenienti da chissà quale paese dell’Asia, a copiare abilmente su un blocco da disegno le eleganti figure di santi dipinte  da un abile pittore attivo a Chivasso – Chivasso, dico! – più di Cinquecento anni fa.

Ditemi voi se questo non signigica adempiere al meglio alla propria missione didattica e di divulgazione del proprio straordinario patrimonio artistico.

Stefania Bonino

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