Non c’è un minuto da perdere, di questi tempi: lo sa bene il MEF, Museo Ettore Fico, che come ormai ci ha abituati ad aspettarci, ha inaugurato il 10 marzo non una, ma ben quattro esposizioni temporanee all’interno della sua sede in via Cigna 114: Florence Henri. Fotografie e dipinti 1920-1960; Renato Birolli. Figure e luoghi 1930-1959; Ettore Fico. Paradisi ritrovati e Truly Design. Truth depends on where you see it from, visitabili fino al 26 giugno 2016.
Il MEF è un luogo che si mette in discussione e che invita a mettere in discussione la capacità dei suoi ospiti di leggere e di decodificare la realtà. Proprio l’edificio-simbolo della rinascita urbanistica e culturale di Barriera di Milano prende su di sé le novità della stagione espositiva primaverile, contenitore perfetto e multiforme che si plasma sotto le mani degli artisti o, in questo caso, dei designer. E di nuovo cambia pelle: i responsabili sono questa volta i componenti del gruppo Truly Design, nato a Torino nei primi anni Duemila. La cultura urbana fatta di graffiti, contaminazioni pop con l’arte contemporanea e l’attenzione costante alle evoluzioni e alle sfide odierne dell’architettura sfocia in una ripresa modernissima dell’antichissimo concetto di anamorfosi: le leggi dell’ottica e della geometria danno vita negli spazi del MEF a tre opere site-specific accattivanti e immersive, dove semplici ma vivacissimi tratti pittorici si ricompongono sotto gli occhi del visitatore in ampie e sorprendenti composizioni tridimensionali.
Illusioni, inganni, scherni ed ironia fanno parte anche del percorso umano di ogni uomo come di ogni artista, messo alla prova dalla mutevolezza del proprio tempo. I protagonisti delle tre mostre personali sono uomini e donne che hanno attraversato con la loro personalità la corrente impetuosa del Novecento, riuscendo ad assorbirne gli spunti creativi senza mai però rinunciare ad affermare orgogliosamente la propria individualità.
La coerenza della poetica di Florence Henri si dipana attraverso un fitto tessuto di disegni, dipinti e fotografie. Celebre soprattutto come fotografa, la Henri è stata dapprima una promettente pianista, poi pittrice capace di accompagnare la sua indagine della modernità attraverso lo strumento della fotografia, con cui ha sottoposto la realtà a una scrupolosa e continua verifica. Cresciuta nell’atmosfera neoromantica dei salotti europei dei primi del Novecento, è stata perfetta interprete del frizzante clima culturale del dopoguerra della Berlino weimariana, trasferendo nella sua pittura le suggestioni ricevute durante le lezioni al Bauhaus di Klee e Kandinsky, l’esperienza nello studio di Archipenko, la frequentazione di Robert e Sonia Delaunay, di Hans Arp e di molti altri protagonisti della cultura d’avanguardia.
Il lirismo e la sensualità dell’arte di Renato Birolli si offrono in tutta la loro complessità e problematicità nella selezione di oltre 90 opere che ripercorrono l’intera parabola produttiva di un artista che come pochi altri ha saputo trasmettere il senso del colore come dramma e passione, vero e proprio fulcro della pittura e della vita. Nel tradizionale dibattito sulla dicotomia tra forma e colore, Birolli si è posto sul tracciato degli amati maestri veneziani, di El Greco, di Délacroix, Van Gogh, Matisse, che lo porterà nelle fasi finali della sua vita ad interessarsi alle contingenti sperimentazioni degli artisti newyorkesi dell’Espressionismo Astratto. In anni di stringente conflitto, anche politicamente engagé, tra figurazione e astrazione, la sua è stata una pittura visionaria, intesa quasi come utopia, ma sempre immersa nella realtà quotidiana. La sua partecipazione, mai completamente scevra di ripensamenti e di scontri ideologici, ad alcuni dei più importanti raggruppamenti di del Novecento (Corrente, Fronte Nuovo delle Arti, Gruppo degli Otto), lo posiziona indiscutibilmente, assieme ad amici-nemici come Guttuso, Vedova, Manzù tra i grandi della pittura italiana dell’ultimo secolo. Sono poi molte le consonanze con l’opera del padrone di casa, Ettore Fico, che torna a mostrarci un lato della sua ricchissima produzione nei Paradisi ritrovati, dove i colori esplodono sulle tele con incredibile potenza e vivacità.
Non c’è un minuto da perdere, dicevamo, di questi tempi: occasione troppo ghiotta per conoscere, approfondire, amare l’arte del Novecento e, perché no?, di farsi prendere un po’ in giro sui nostri preconcetti non solo sull’arte (contemporanea in particolare), ma sulla realtà in generale. Per dirla con Birolli, siamo «del parere che non tutto ciò che appare astratto sia astratto e tutto ciò appare reale sia reale», o come ci insegna Truly Design: «Truth depends on where you see it from».
Giulia Venuti