“L’Architettura, sebbene dipende dalla Matematica, nulla meno ella è un’Arte adulatrice, che non vuole per la ragione disgustare il senso: […] quando […] si tratta che le sue dimostrazioni osservate siano per offendere la vista, le cangia, le lascia ed infine contraddice alle medesime.”
Così scrive Guarino Guarini nel terzo capitolo della sua Architettura Civile definendo perfettamente ciò che con azzardo e maestria progetta e realizza.
Padre Teatino, architetto, autore di trattati di geometria, filosofia, teologia, esperto di astronomia, personalità geniale e caleidoscopica, Guarini arriva nella capitale dell’allora ducato sabaudo nell’autunno del 1666, chiamato da Carlo Emanuele II per risolvere due annose questioni architettoniche. Da una parte c’è la costruzione della cupola della cappella della Sindone, interrotta all’altezza del cornicione del piano più basso per divergenze d’opinione tra coniugi (il duca appoggiava l’idea di Amedeo di Castellamonte, la moglie Maria Cristina quella di Bernardino Quadri), dall’altra la realizzazione della vicina chiesa di San Lorenzo che da cappella ducale era passata nel 1634 all’ordine dei Teatini i quali, nello stesso anno, avevano abbattuto la precedente costruzione medievale e deposto la prima pietra del nuovo edificio rimanendo però presto arenati.
In entrambi i casi l’architetto modenese scardina completamente le idee di chi lo aveva preceduto: sostituisce una pianta centrale alla croce latina ipotizzata per San Lorenzo e fa germogliare sopra la cappella della Sindone una straordinaria cupola barocca al posto della più tradizionale semisfera pensata dal Castellamonte.
Chi entra all’interno di San Lorenzo resta confuso, frastornato dalla lussureggiante foresta di marmi policromi che lo avviluppa, e che sapientemente nasconde la pianta ottagonale; con un gioco di curve convesse le pareti scure respingono il fedele che, portato al centro della chiesa, si libera dalle tensioni alzando lo sguardo. La cupola diafana, inondata di luce, è il contrappunto divino, chiaro e calmo all’agitarsi umano, scuro e inquieto, del livello inferiore.
Se gli altri artisti barocchi rompono illusionisticamente le architetture dei soffitti e delle cupole con il trompe l’oeil fingendo l’apertura verso il cielo, dove Santi e angeli turbinano alla presenza di Dio, Guarini va oltre: buca la cupola, tradizionalmente allusione alla sfera celeste, aprendo la strada verso l’Infinito, Dio, che entra sotto forma di Luce invadendo lo spazio e abbracciando chiunque entri nella chiesa.
Aprendo finestre nella cupola (la cui forma è ripresa dalle moschee arabe che forse ha avuto modo di vedere in Spagna) il teatino trae ispirazione dai costruttori del Gotico che facevano apparire le loro chiese, fatte più di vetrate che di mattoni, estremamente deboli, come se un miracolo contribuisse a non farle crollare.
La fragilità e la trasparenza architettonica sono portate all’estremo nella cappella della Sindone. Lo spazio dello spettatore è un’aula cilindrica di marmo nero di Frabosa sovrastata da un tamburo nel quale si aprono sei finestroni; oltre si sviluppa vibrante la cupola realizzata intrecciando sei serie sovrapposte di archi tra i quali la luce fiotta attraverso le finestre. In cima appare lo Spirito Santo sotto forma di colomba e raggi d’oro, incastonato in una stella a dodici punte e illuminato da altrettante finestre che si aprono sul cupolino. Non particolarmente alta, come ben si nota dall’esterno, il prete architetto alza illusionisticamente la cupola con lo schiarimento cromatico che dal nero del primo livello procede fino all’oro della sommità.
Guarini intride le sue architetture di segni matematici e geometrici: se in San Lorenzo lo spazio è sviluppato su una pianta ottagonale, intersecazione spirituale del quadrato, dimensione umana e terrena, e del cerchio, infinita perfezione divina, qui tutto ruota attorno al triangolo e al numero tre. Tre sono gli ingressi (due dal Duomo, uno dal Palazzo Reale) e dunque i vestiboli, tre sono gli arconi, tre i livelli, sei i finestroni del timpano e gli esagoni che si sovrappongono sfalsati fino alla stella dodecagonale. Il tre allude evangelicamente al terzo giorno dopo la crocifissione, la domenica di Pasqua, quando Cristo risorge e nel sepolcro vuoto rimane solo il sudario.
Per Guarini, quindi, il fedele intraprende il viaggio verso la Resurrezione attraverso la morte di Cristo rappresentata dalla Sindone che la cappella custodisce, immersa nello spazio scuro di marmo nero; ma se in San Lorenzo lo smarrimento terreno è immediatamente sedato dalla chiarezza della cupola, qui il raggiungimento della Salvezza è tormentato, irrequieto, travagliato a causa del continuo alternarsi di linee scure e spazi chiari che fanno palpitare l’architettura.
Guarini, pienamente consapevole, in quanto prete, delle simbologie e dei rimandi spirituali contenuti nelle sue opere, deduce dal Barocco l’importanza del coinvolgimento diretto, emotivo e psicologico, del fedele, che non più passivo e lontano spettatore è personalmente chiamato alla scoperta mistica.
In grado di rompere le regole architettoniche per “dilettare l’occhio” Guarini regala a Torino due straordinari tesori che a più di trecento anni di distanza continuano ad affascinare e a sorprendere per la loro apparente illogicità e contraddizione.
Elena Patrignani